Intervista a Marco Totis, general manager di Amicus Therapeutics Italia
“In un momento in cui si riscontra una vera e propria esplosione di comunicazione sulle terapie avanzate, un momento in cui le aspettative dei pazienti sono altissime, è fondamentale comunicare correttamente i tempi e le difficoltà reali per l’applicazione pratica di queste biotecnologie, evitando di creare false aspettative e grosse delusioni”. Commenta così Marco Totis, General Manager di Amicus Therapeutics Italia, l’importanza di un’iniziativa di comunicazione come il VI Premio OMaR, realizzata anche grazie al contributo della sua azienda.
“Amicus è un’azienda biotecnologica nata 15 anni fa per lo sviluppo di quella che allora era considerata a tutti gli effetti una terapia avanzata in grado di migliorare significativamente la vita dei pazienti. Parliamo della terapia chaperonica orale per alcune specifiche mutazioni della malattia di Fabry, ormai commercializzata anche in Italia da due anni. Abbiamo inoltre in sviluppo avanzato un nuovo farmaco per la malattia di Pompe, per il quale è iniziata in tutto il mondo la Fase III di sperimentazione clinica”.
“La strategia aziendale è rendere obsolete tutte le terapie esistenti, comprese le nostre – spiega Totis – per questo motivo abbiamo all’attivo ben 14 linee di ricerca dedicate alla terapia genica. Si tratta prevalentemente di ricerca preclinica (quindi ancora ben lontana dal diventare un farmaco), ma fare investimenti a lungo termine è l’unico modo per permettere l’innovazione. Il percorso è lungo e certamente pieno di ostacoli, ma quando – come nel caso della malattia di Batten – la ricerca pura si trasforma in sperimentazione clinica, la soddisfazione è grande”.
“Recentemente Amicus ha acquisito Celenex, uno spin off universitario, e ha avviato un sodalizio con la Perelman School of Medicine dell’Università di Pennsylvania (Penn) proprio per dedicarsi a ricerca e sviluppo di nuove terapie geniche per malattie metaboliche rare e malattie da accumulo lisosomiale come la malattia di Fabry e la malattia di Pompe. Questa partnership combinerà l’esperienza di Amicus nell’area della glicobiologia e dell’ingegneria genetica con l’esperienza della Penn sulla terapia genica e i vettori virali in particolare”.
Una prospettiva ottima dunque per il futuro dei pazienti con malattie da accumulo lisosomiale, che potrebbero in futuro ottenere una vera e propria cura per la loro patologia. Ricordando però che l’innovazione farmaceutica è un percorso che deve seguire dei passaggi obbligati, in primo luogo per la sicurezza dei pazienti. Per la malattia di Fabry per anni c’è stata a disposizione solo la terapia di sostituzione enzimatica, che prevede infusioni endovenose ogni 15 giorni. Grazie all’impegno di Crowley e di tutti coloro che hanno lavorato duramente, oggi per i pazienti con malattia di Fabry è a disposizione il migalastat, un farmaco a somministrazione orale che ha cambiato radicalmente la qualità di vita dei pazienti eleggibili al trattamento.